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PALAZZO "BARRESE LI PRATI" A MARSICONUOVO

"È città con mura, nelle quali sono sei Porte, consacrate a' Santi Tutelari, si scuopre con Cupole, e Torri nella più alta di tre colline..." (1).
Questa la descrizione di Marsiconuovo fatta nel 1702 dall'abate Giovan Battista Pacichelli il quale, nel suo Il regno di Napoli in prospettiva ci ha lasciato anche la più antica rappresentazione iconografica di questo centro lucano.
Quella proposta dall'autore è una veduta della città da ovest, in cui l'abitato si presenta sviluppato su tre colline di ineguale altezza, in tre rioni denominati ancora oggi Civita, Portello e Casale.
Nella Civita, la parte più antica, come indica lo stesso nome, sorgono la Chiesa parrocchiale di Sant'Angelo, che dà il nome anche alla vicina porta, l'Episcopio con la Cattedrale, la Chiesa ed il Monastero di S. Francesco, la Chiesa parrocchiale di San Marco.
Al Portello, in un'area meno urbanizzata, è il palazzo del Principe Pignatelli; tra quest'ultimo ed il monastero femminile intitolato a San Tommaso, si sviluppa il Casale. Come ha scritto Luigi Ventre, "nei secoli di mezzo quella parte di Marsico che attualmente chiamasi Casale, era divisa dalla città, abitata da contadini e aveva un perimetro corrispondente alla Parrocchia S. Tommaso". (2)
Sulla veduta del Pacichelli, nella parte più alta della Civita, si individuano chiaramente sei torri ed un tratto delle mura fortificate che cingevano il nucleo più antico dell'abitato. Di quelle torri una è oggi parte integrante del palazzo Boccia (già Barrese Li Prati), un'altra si trova nel giardino attiguo allo stesso.
L'edificio è situato nelle immediate vicinanze della Cattedrale, lungo una delle strade principali di Marsico, denominata adesso Via Borghese, nella zona detta, sino al 1720-1730 "Sant'Antonio", poi "S. Giuseppe"(3). Esso si sviluppa su due livelli e mostra evidenti i segni di successivi rifacimenti iconografici e di struttura; particolare rilievo architettonico e storico rivestono le due vecchie torri di cui si è detto.
Un'antichissima descrizione su lastra di marmo murata sulla parete a destra del portale di ingresso, fornisce importanti indicazioni per la datazione del palazzo e, forse, dell'intero centro storico di Marsico. Si legge, infatti, che la casa fu distrutta nel 1142 "susceptione umana" al tempo del re normanno Ruggero I e poi restaurata completamente nel 1175, durante il regno di Ruggero II (4). Tenuto conto che nello stesso anno venne restaurato l'antico castello che sorgeva sulla sommità della Civita e che era stato distrutto nel 1142 da un incendio, e che nel 1172 era stata ricostruita anche la vicina Badia di Santo Stefano, meglio conosciuta con il nome di San Gianuario, si può ipotizzare in quel periodo la distruzione e successiva ricostruzione di buona parte del nucleo più antico della "Civita" e della sua cinta muraria, nonché, naturalmente, del palazzo in oggetto (5).
Quest'ultimo, dovette subire ulteriori significativi rimaneggiamenti strutturali e iconografici, che ne mutarono profondamente la fisionomia originaria, a seguito dei numerosi eventi calamitosi che colpirono la città nel corso dei secoli passati: prima di tutto i terremoti (6); poi le nuove distruzioni causate dalla mano dell'uomo.
Marsico, infatti, sino al 1552 feudo della famiglia Sanseverino, nel 1502, durante le sanguinose guerre per il predominio sul Mezzogiorno d'Italia, poiché il suo principe Roberto, come il padre Antonello, si era schierato con i Francesi, venne data completamente alle fiamme dal comandante spagnolo Consalvo de Cordoba e dovette, dunque, essere nuovamente ricostruita (7).
Agli inizi dell'agosto 1647, inoltre, mentre a Napoli infuriava la rivolta antispagnola di Masaniello, Marsico, come molti altri centri del Mezzogiorno, insorse contro il nuovo feudatario, Francesco Pignatelli (8). Fuggito il Principe, i rivoltosi entrarono nel suo palazzo, presero ed uccisero 14 suoi sgherri, "e poscia con un barile di polvere fecero rovinar tutto il palazzo; quindi diedero fuoco a diverse case di Gabellotti, et affittatori di Dazj" (9), tra i quali non si esclude possa essere stato il palazzo Barrese Li Prati.
Qualche anno dopo, nel 1656, la terribile epidemia di peste avrebbe finito di sconvolgere equilibri economico-sociali già irrimediabilmente compromessi, tanto che la popolazione nel 1659 sarebbe risultata composta da appena 1.119 anime contro le 6.000 del 1618 (10). Molte case, allora, andarono in rovina. Le conseguenze di tanto disastro dovettero essere durature se, ancora mezzo secolo dopo, il Pacichelli scriveva che Marsico: "à caggione dell'incendio, e morbo Epidemico, si vidde molto maltrattata nelle fabbriche, e nelle Famiglie"(11).
Tornando alla rappresentazione iconografica dello stesso abate, rileviamo come agli inizi del Settecento, l'abitato si fosse ormai ampiamente esteso al di là della cinta muraria medioevale. Si può ragionevolmente ipotizzare che questa espansione sia avvenuta prima della crisi seicentesca, sicuramente per far fronte al notevole incremento demografico che vide gli abitanti passare dai 1.300 circa del 1532 ai 6.000 del 1618 (12), con espansione dell'abitato sui fianchi della collina lungo la direttrice sud-sud-ovest e contemporanea appropriazione ed utilizzazione a scopo abitativo anche di parte delle mura medioevali e delle antiche fortificazioni. Di quest'ultimo processo il palazzo Barrese Li Prati, che inglobò una torre ed un tratto della zona ovest delle mura, è l'esempio più significativo.
Quando nel 1657 pervenne alla famiglia Barrese, portata in dote al magnifico Francesco dalla magnifica Lucrezia, unica erede dei Li Prato, "la casa a Sant'Antonio, era composta da 25 stanze soprane e sottane" (13).
I Barrese, proprietari terrieri, affittatori, giuristi, medici, sacerdoti, erano stati sempre tra i maggiorenti della città. Nel 1584, Giovanni Barrese aveva acquistato dall'Università di Marsico per 1.150 ducati il palazzo appartenuto ai Sanseverino che, si è detto, avevano rinunciato al feudo (14); lo stesso palazzo, però, dovette essere ceduto nel secolo successivo al nuovo principe Francesco Pignatelli che vi abitava, abbiamo visto, già al tempo della rivolta antifeudale del 1647 (15).
La crisi del Seicento, infatti, nonché una serie di liti familiari per motivi di interesse avevano messo in difficoltà anche questa ricca famiglia (16). E così Francesco, sul palazzo portatogli in dote dalla moglie, fu costretto già nel 1659 a porre un'ipoteca per un piccolo capitale preso in prestito dalla Cattedrale, e che nel 1773 non era stato ancora restituito (17); nel 1692 la stessa Lucrezia, ormai vedova, insieme al figlio Antonio vendette per appena venti ducati una grossa stanza del palazzo a Filippo Molinaro, il quale ne ricavò due soprani e due sottani (18). "Malcontenta" del figlio, Lucrezia aveva poi donato l'intero palazzo e gli altri suoi beni dotali alla Cappella della Santissima Annunziata e, soltanto in punto di morte, nel 1718 aveva revocato tale decisione, lasciando però il figlio debitore di una grossa somma nei confronti dell'Annunziata (19).
Antonio, nel 1747 e poi nel 1750, fu costretto a vendere due giardini che erano l'uno davanti alla casa, l'altro un po' più sopra; in quest'ultimo gli acquirenti costruirono una casa di due stanze (20).
Nel 1779 furono la nuora di Antonio, Orsola Camerota (che con le sue doti aveva nuovamente rimpinguato le casse dei Barrese Li Prati) e, poi, nel 1796 il figlio di quella, don Eligio, estensore del manoscritto cui stiamo facendo riferimento, a ricomperare tutto quanto era stato venduto dagli antenati, riportando alla situazione del 1657 la "casa" che, per i Barrese Li Prati, come per tanti altri esponenti della borghesia agraria meridionale, veniva a rappresentare, al cadere del Settecento, il "simbolo pietrificato" della famiglia e del suo status economico-sociale (21).
La proprietà dell'edificio fu conservata dai Barrese sino al 1871 allorché don Andrea Barrese lo vendette alla famiglia Boccia. Era costituito all'epoca da 13 vani utili ed 11 accessori (22).
Nel 1939 la proprietaria dell'edificio Carmela Dattoli, vedova Boccia, ne affittava una parte alle suore per cui il palazzo risultava suddiviso (23) come mostra la tabella 1.

TABELLA 1

al primo piano

DATTOLI
5 camere
1 cucina
1 WC

SUORE
10 camere
1 cucina
1 WC


al piano terra

DATTOLI
1 cantina
1 dispensa

SUORE
1 dispensa
1 legnaia


Tot.

DATTOLI
9 vani

SUORE
14 vani


All'epoca lo stato di conservazione dell'edificio veniva considerato mediocre, le finiture scarse; il cortile esterno misurava 90 mq (24).
La struttura, gravemente danneggiata dal sisma del 23 novembre 1980, è stata donata nel 1988 da Giovanni Boccia al Comune (25), e versa a tutt'oggi in uno stato di totale abbandono: con essa, senza interventi immediati di restauro e recupero funzionale, rischia di andare perduto, ancora una volta, un importante frammento della memoria storica della nostra regione.

Note

1) G. B. Pacichelli, Il regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1702, vol. I, pp. 192-193;

2) L. VENTRE, La Lucania dalle origini all'epoca odierna vista e illustrata attraverso la storia della città di Marsiconuovo, Salerno, 1965, p. 84;

3) In un manoscritto del canonico d. Eligio Barrese, datato 1773, ma con aggiunte che arrivano sino al XIX secolo, si legge, infatti: "La casa a S. Antonio, oggi S. Giuseppe di stanze soprane e sottane n. 25 pervenne a questa casa Barrese per il matrimonio contratto dal Magnifico Francesco Barrese con la Magnifica Lucrezia Li Prati l'anno 1657" (Cfr. Biblioteca Nazionale di Napoli, Ms. XVIII 23, Abbozzo di Memoria per la Casa Barrese Li Prati di questa città di Marsico. Si registra dal Dr. Eligio Barrese Li Prati nell'anno 1773. Da ora Ms. Barrese, f. 62r). Lo stesso documento ci permette di capire che la casa in oggetto, fra le due possedute nel secondo Settecento dalla famiglia Barrese Li Prati, è effettivamente l'attuale palazzo Boccia. La casa si trovava, infatti, nella circoscrizione della Parrocchia di Sant'Antonio, una della più antiche di Marsico, situata nella Civita tra la Cattedrale e la Chiesa parrocchiale S. Marco. Nel 1720 essa era stata soppressa e le sue rendite assegnate alla Cattedrale, la cura d'anime al parroco di S. Marco. Nel 1735 la Chiesa di S. Antonio fu concessa al canonico d. Girolamo Potenza, che ne cambiò il nome in S. Giuseppe. Fu rasa al suolo dai terremoti del 1826 e del 1857. (Cfr. VENTRE, La Lucania ... cit., p. 248). L'altro palazzo posseduto dai Barrese Li Prati si trovava, invece, "al Casale", ed era stato portato in dote nel Settecento da Orsola Camerota a Gerardo Barrese, padre di don Eligio, estensore del manoscritto (Cfr. Ms. Barrese, I a numerazione, p. 4, Memoria per la compra del Palazzo al Casale);

4) L'iscrizione è trascritta in VENTRE, La Lucania ... cit.;

5) Ivi, pp. 238-39 e 252;

6) I terremoti che colpirono Marsiconuovo furono numerosissimi. Ricordiamo qui quelli del 1584, 1586, 1683, 1688, 1694, 1721, 1759, 1826, 1857, 1895, 1910, 1980. Cfr. V. CLAPS, Cronistoria dei terremoti in Basilicata, Galatina 1982;

7) VENTRE, La Lucania ... cit.;

8) Francesco Pignatelli aveva acquistato il feudo di Marsico dal Regio demanio nel 1638. Cfr. L. GIUSTINIANI, Dizionario storico ragionato del Regno di Napoli, vol. V, Napoli 1802, p. 360;

9) Racconti delle sollevazioni di Napoli accadute nell'anno 1647, manoscritto nella Biblioteca del Seminario di Potenza, citato in G. COLANGELO, La diocesi di Marsico nei secoli XVII-XVIII, Roma 1978, p. 8;

10) Ivi, pp. 195-196;

11) PACICHELLI, op. cit., p. 192;

12) COLANGELO, La Diocesi di Marsico ... cit.;

13) BNN, Ms. Barrese, f. 62r;

14) Nel Ms. Barrese, al f. 49, si legge "A 1584 o 1582 Gio. Barrese compra il Palazzo, oggi del Principe, per doc. 1150";

15) Nella Relazione generale premessa al Progetto di intervento di recupero del palazzo ai sensi della legge 1/3/1986 n. 64 si confonde il palazzo Boccia, oggetto dell'intervento, con il palazzo del Principe che, invece, come risulta dalla veduta del Pacichelli e dagli altri documenti citati, sorgeva in un'altra zona e non apparteneva più ai Barrese già dal XVII secolo. Più precisamente si tratta del palazzo in cui oggi ha sede il comune (Cfr. anche VENTRE, La Lucania ... cit., p. 143);

16) Di queste liti dà ampio conto il Ms. Barrese;

17) Ms. Barrese, fol. 62r; 18 Ivi;

19) Ivi, fol. 77;

20) Scrive don Eligio Barrese nel suo Manoscritto: "Avanti detta casa vi erano giardini, de' quali uno nell'anno 1750 da mag.co Gerardo Barrese fu venduto al Sac. D. Emanuele Buzzoli per duc. 20 (...) L'altro giardino più sopra dalli stessi fu venduto a Tommaso Russo per duc. 10-50 l'anno 1747 (...) Questo giardino da detto Tommaso fu promesso in dote a due sue figlie Felice e Donata Russo e dalla detta Donata col marito Paolo Baratta fu fabricato per metà (...) A 21 febraro 1796 ho comprata detta casa stanze 2 per duc. 28 (...) L'altra metà di detto giardino (...)si è da me anche acquistata" ( Ms. cit., ff. 6v-7r);

21) Nel febbraio 1779 Orsola Camerota, madre di d. Eligio Barrese, ricomprò le due stanze "soprane" e le "due sottane" ricavate da Filippo Molinaro nella stanza vendutagli da Lucrezia Li Prato (Ms. cit., f. 51);

22) Ufficio tecnico erariale. Potenza Nuovo Catasto Edilizio Urbano, n. di inventario K 385 particolare 291, foglio di mappa 37, particelle 31 e 33. K 385;

23) Ivi;

24) Ivi;

25) Atto di donazione del 28 luglio 1988, repertorio n. 15-257.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999

Autore: Gianluca Cuomo

 

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